
Il ponte sul Fiume Tirso edificato in età romana, forse nella seconda metà del I sec. a.C., si presentava a quattro arcate fino al nono decennio del secolo XVIII, allorquando fu aggiunto un ulteriore arco, commemorato da una magniloquente iscrizione latina, che restò in situ fino al 1870, anno dell'abbattimento definitivo del ponte romano.
Il testo, su sedioci linee, è il seguente:
Victorio Amedeo III,/ Sardorum Regi,/Arestanei marchioni,/Providissimo (et) beneficentissimo,/qui/ ut per occidentalem plagam transeuntibus/ tutus commodiorq(ue) aditus sit/ solidam planamq(ue) hanc sterni viam/ firmissimos hos extrui sup(ra) Tirsum pontes,/Solario Prorege etì Cusano Antistite/consulentibus adiuvantibus,/proponente ac dirigente Architecto Moia,/fecit./Grati obsequen(tes) monumentum/Arestanenses subditi et filii/p(ecunia) p(ublica)(posuerunt).
L'epigrafe celebra, come si è detto, l'aggiunta di un'arcata (ancorché il testo parli pomposamente, al plurale, di firmissimos pontes , cioè di solidissime arcate) al ponte romano sul Tirso e la realizzazione (o il rinnovo) del lastricato stradale perché fosse sicuro e agevole il viaggio per coloro che transitavano lungo la piana occidentale della Sardegna. Autore dell'opera è il sovrano sabaudo Vittorio Amedeo III, di cui è ricordato esplicitamente il titolo di Marchese di Oristano, al tempo del Viceré Solario e dell'Arcivescovo Luigi Cusano. La realizzazione tecnica fu curata dall'architetto Moia. Gli Oristanesi, definiti, secondo le concezioni paternalistiche della Corona, «sudditi e figli», posero l'iscrizione col denaro della cassa comunale.